Illustrazione realizzata da Federica Fabbian
Le vite degli altri
Sono una persona che è vittima dei suoi pensieri. Io la chiamo “la spirale”.
E’ quella sensazione di girare intorno alle proprie preoccupazioni apparentemente piccole, è un giro inizialmente largo che poi scende sempre più giù, sempre più giù, i giri diventano sempre più piccoli ma più veloci, e ancora giù, dentro la spirale, finché non arrivo ad un punto in cui riesco solo a girare su me stesso, in un ambiente claustrofobico.
La quarantena non mi ha di certo aiutato. I pensieri fanno così tanto rumore, nel silenzio della città, nel silenzio della casa. Poi mi sono accorto che in realtà non c’è mai il silenzio assoluto, è solo che alcuni rumori li abbiamo catalogati “di sottofondo” nel corso della nostra vita.
“Di sottofondo” non vuol dire “assenti”. Così ho cominciato a concentrarmi su di loro. Il rumore della moka che viene avvitata e messa sul fornello. Il ronzio del frigorifero. Il rumore che fa il vino appena lo apri e versi il primo bicchiere, quel “glu glu glu” così rilassante.
Il ticchettio della tastiera del mio computer mentre scrivo. Riesco a capire quando pigio una “e” anziché una “a”, il suono della barra spaziatrice che è così diverso da tutti gli altri. Il suono confuso delle vecchiette che parlano da un balcone all’altro. Il rumore di piatti in tavola dentro gli appartamenti circostanti quando arrivano le otto di sera.
Mi viene in mente quando passeggiavo per Garbatella, o per Testaccio, e vedevo piano piano accendersi le luci nelle case degli altri, e mi ritrovavo ad immaginarmi le loro vite, chi stava mangiando da solo, chi si riuniva con tutta la famiglia, chi aspettava qualcuno.
E ora che non cammino più dopo le sei di sera, non mi rimane che la mia finestra, osservare la luce del sole che cala, da gialla diventa arancione, poi fucsia, poi rossa, cambiano i colori dei palazzi e piano piano, ad una ad una, si accendono le luci degli appartamenti come tanti piccoli alberi di Natale, chi ha il terrazzo mangia fuori e sento comunque il rumore delle posate, una battuta brillante seguita da risate, sento le madri che chiamano i bambini per avvisarli che è pronto.
E quando arriva quel momento mi sento bene, sento che il mondo continua ad andare avanti nonostante tutto, che siamo costretti a rimanere in casa, è vero, ma quando sento quei suoni che provengono da una di queste finestre tiro un sospiro di sollievo perché anche oggi qualcuno è tornato a casa sano e salvo. E di questi tempi, non è un dettaglio trascurabile.
E penso anche che quando finirà tutto, ricomincerò a passeggiare per le strade, e ti rivedrò dopo tanto tempo, e ti vorrò tenere per mano, perché tu sei quella con cui voglio continuare a guardare le luci nelle case degli altri.
Racconto di Tommaso Fusari
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