Illustrazione realizzata da Valentina Fontana
Una civetta nella notte
Da qualche anno vivo, con due amiche, in Piazza Santa Croce a Firenze. La quotidianità per noi è sempre stata il rumore. Senza sosta. A qualsiasi ora del giorno.
Le voci dei mille turisti, i violini e i cantanti di strada con i loro acuti, le macchine e i motorini, il continuo “bip” dei taxi elettrici, le voci di notte degli studenti in festa, le loro litigate, i canti di compleanno e la musica fino a tardi. Non ho mai pensato fosse piacevole tutto questo rumore. Sono abituata alla campagna, al suono del vento tra le foglie ma devo ammettere che questo silenzio fa quasi paura.
Ogni tanto l’eco d’una voce o di un furgoncino rimbomba nelle vie deserte per disperdersi definitivamente in piazza. La statua di Dante osserva immobile e silenziosa ogni tramonto dalla cima della scalinata. L’altra sera, arrivando ad ali dispiegate, una civetta le si è posata sulla testa e con il suo buffo modo di guardarsi intorno ha scrutato ogni angolo fino ad incrociare i nostri visi incollati al vetro. Deve essere la stessa che, un paio di notti prima, mi ha fatto aprire la finestra per cercarla con lo sguardo tra i tetti. La mezzanotte era passata da un po’ e riuscivo solo a sentire il suo verso che riempiva ogni vuoto. Ho guardato fino in fondo alla via. Ho fatto fatica a riconoscere questo posto a me così familiare, in certi momenti mi sento davvero spaesata. Il tempo, da un po’, ha iniziato a dilatarsi in modo esponenziale.
C’è chi dice che la civetta simboleggi la luce dopo la soluzione di un problema. Mi piace pensare che con il suo canto abbia voluto rassicurarci, ricordarci che anche al buio non dobbiamo smettere di guardare le stelle che poi, l’alba, torna sempre a illuminare ogni cosa.
Racconto di Isotta
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